
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), nelle loro sempre più mutate forme, costituiscono oggi una vera e propria epidemia sociale che in questo momento non sembra ancora avere raggiunto il picco della propria crescita esponenziale. In Italia due milioni di ragazzi soffrono di questi disturbi e decine di milioni di giovani nel mondo si ammalano ogni anno di queste gravi patologie. (...)
Una loro piena comprensione deve tenere in considerazione fattori psicologici, evolutivi e biologici. Sicuramente i fattori socioculturali sono implicati nel favorire lo sviluppo di questi disturbi, in particolare per il ruolo esercitato dalla nostra cultura, che associa la magrezza alla bellezza e al valore personale.
Non c'è dubbio che i DCA si prestino a rappresentare in modo straordinario questa nostra epoca, connessi come sono all'immagine corporea, al significato del cibo, all'ossessione per l'apparire. (...)
Tuttavia non si devono confondere gli effetti patoplastici della cultura (che modellano la forma assunta dai sintomi) con i processi patogenetici, che invece provocano le malattie. L'attenzione eccessiva all'immagine corporea e il culto della magrezza infatti non sono la causa dei disturbi alimentari. La loro funzione sembra soprattutto quella di suggerire la strada attraverso cui un malessere più profondo, grave, strutturale si esprime e cerca di giungere a una risoluzione. (...)
Nella bulimia multicompulsiva il nucleo psicopatologico continua a interessare un'intensa idealizzazione del cibo e delle forme corporee. Tuttavia, accanto a essa si struttura il devastante corteo sintomatico di un'incertezza identitaria che assume i contorni di una vera e propria catastrofe dell' Io. Il paziente sperimenta un'intesa e angosciante incapacità di sostenere la solitudine, vissuta come senso di vuoto interiore da colmare quanto prima con cibo, alcol, oggetti rubati, sostanze stupefacenti, sesso e così via.
Il vuoto interiore equivale alla continua minaccia dell'emorragia identitaria, alla perdita dei propri limiti: è un mondo interiore in cui nulla può essere conservato, poichè non è un luogo sufficientemente stabile e sicuro.
Ciò si traduce all'esterno in carenza di oggetti relazionali e in rapporti affettivi e sociali incostanti, burrascosi, superficiali o soggetti a improvvise rotture. Da questo punto di vista, l'angoscia di fondo della paziente bulimica non sarebbe tanto un'angoscia di frammentazione, quanto piuttosto di svuotamento, che si esprime appunto nella forsennata reiterazione degli opposti: riempimento/abbuffata e svuotamento/vomito autoindotto. (...)
Il comportamento bulimico presenta una modalità affine a quello tossicomanico, che riguarda non tanto la dipendenza, quanto la gestione della relazione d'oggetto (Sè/altro da Sè) incentrata sulla ripetizione infinita di istanti sempre uguali a se stessi, dovuta alla mancanza di quel senso di continuità interiore che è garanzia di un'identità ben strutturata. Lo spazio psichico è vissuto da una paziente bulimica come uno stomaco vuoto in cui è necessario introiettare voracemente la realtà per riempirlo. (...)
La discontinutià affettiva è rapidissima. A ogni abbuffata ne segue un'altra, poi il vomito, poi un pianto disperato, finchè un evento in apparenza banale, come la telefonata di un amico, interrompe l'episodio bulimico; ma qualcosa va storto: una parola in più, una sfumatura del tono della voce e di nuovo riaffiora la sensazione insostenibile di non essere amata, cosicchè la sequenza ricomincia. La paziente troverà il modo di cui modulare (manipolando gli altri) la propria condizione emotiva soltanto all'interno di una rete affettiva in cui ogni rapporto può sostituirsi a un altro, in ogni momento e con apparente superficialità. (...)
L'abbuffata s'innesca come un comportamento automatico, ma può anche conciliarsi con attività quali guardare la televisione, ascoltare musica, distrarsi, e altre ancora in cui non sia necessario pensare. I cibi che vengono consumati durante questi episodi sono soprattutto dolci ad alto contenuto di grassi; (...)
...vengono preferiti proprio quei cibi che la persona di solito non si concede, poichè li considera "pericolosi" dal punto di vista calorico. (...)
E' interessante notare i principali antecedenti della crisi da abbuffata:
- sensazioni spiacevoli di tensione, ansia, depressione
- sentirsi grassi: l'autosvalutazione che deriva dal percepire come grasso il proprio corpo può facilmente portare all'attacco bulimico;
- incremento di peso: anche il minimo incremento di peso può innescare la sensazione di aver perso il controllo e di conseguenza portare una perdita di controllo reale;
- condotta di restrizione e fame che ne deriva: la privazione del cibo porta a giustificare un minimo "sgarro", che poi, per le ragioni già esposte, si traduce in abbuffata;
- infrazione di una regola dietetica: quanto più le regole sono rigide ed escludono un numero di alimenti sempre maggiore, tanto più sono a rischio di venire infrante;
- mancanza di un'adeguata organizzazione del proprio tempo;
- solitudine e noia
- tensione premestruale;
- consumo di acolici: in generale, l'alcol allenta l'autocontrollo, rendendo dunque più vulnerabile e debole la capacità di giudizio, così da far sottovalutare la gravità delle conseguenze.
Tutto il rituale dell'abbuffata si svolge in segreto. I genitori trovano scorte di cioccolata e di biscotti sotto il letto, i frigoriferi vuoti al mattino, le dispense saccheggiate. Di solito scatta un meccanismo di negazione e bugia da parte della paziente, che vorrebbe dimenticare tutto ciò che ha mangiato.(...)
Da "L'anima ha bisogno di un luogo" - S. Marucci & L. Dalla Ragione
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