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domenica 21 novembre 2010
Depressione: gli psicofarmaci e il caso Giovanni Cassano
Ridurre la depressione e più in generale il disturbo psichico a cause biologiche, porta necessariamente all'enfatizzazione del ruolo degli psicofarmaci.
Non intendo entrare nel merito degli aspetti tecnici della terapia farmacologica: mi preme invece segnalare alcuni aspetti spesso trascurati, insistendo sugli effetti che in particolare gli antidepressivi producono in coloro che maggiormente li utilizzano, cioè le donne.
Negli ultimi anni sono stati fatti dei grossi passi avanti nel trattamento farmacologico delle depressioni, ma solo in alcuni casi i risultati possono ritenersi soddisfacenti ed efficaci. Ai fini terapeutici, non è tanto rilevante il tipo di depressione stabilita, secondo una certa diagnosi, quanto piuttosto la gravità della sintomatologia depressiva.
In particolare è stato dimostrato che la probabilità di ottenere una risposta terapeutica soddisfacente sarebbe maggiore nelle depressioni gravi rispetto a quelle lievi.
In ogni caso, dal 10 al 30% dei pazienti depressi e delle pazienti depresse non presenta di fatto una remissione significativa della sintomatologia, anche dopo un trattamento farmacologico adeguato, come si dice in gergo psichiatrico.
Esiste dunque il fenomeno dei cosiddetti non risponders (ovvero resistenti al trattamento), le persone con cui il farmaco non funziona. E' inutile dunque procedere con "l'accanimento terapeutico", cambiando in continuazione farmaco col rischio di spiacevoli effetti collaterali. (...)
Inoltre, pur disponendo la medicina ufficiali di vari tipi di antidepressivi, a tutt'oggi non ha facilità nel distinguere quando è più opportuno prescrivere una terapia farmacologica o quando è meglio astenersi. E questo perchè, nonostante i numerosi studi condotti in vari paesi, rimane difficile stabilire se i risultati terapeutici sono stati ottenuto con i farmaci soltanto, o dall'azione di altri fattori aspecifici, ad esempio l'effetto placebo (medicine di nessuna attività) o invece il ruolo terapeutico, ovvero il rapporto medico-paziente. E' questo il caso di quei successi attribuiti ad uno psichiatra o psicoterapeuta in particolare, piuttosto che ad altri.
Ma quali sono le conseguenze dell'uso di antidepressivi, considerando che la maggior parte di questi farmaci possono indurre dipendenza, passività, vittimismo e quindi rinforzare la depressione stessa? I rischi esistono e sono particolarmente evidenti per le donne...
Gli psicofarmaci sono spesso prescritti senza essere accompagnati dalla psicoterapia. Se si decide di iniziare una cura farmacologica è infatti indispensabile almeno una terapia psicologica d'appoggio. Purtroppo esistono psichiatri che, forti del loro potere farmacologico, non offrono supporto psicologico. Spesso non possono darlo personalmente per la loro formazione (e dunque è bene che non lo diano!), ma non lo consigliano nemmeno, dato che la psicologia non fa parte del loro bagaglio culturale.
Il Prozac, uno degli antidepressivi più utilizzati in questi ultimi anni, uscito sul mercato americano nel 1977, conosciuto col nome di "pillola della felicità" merita un'attenzione a parte. (...) In certi pazienti si sono verificati degli aumenti di rischio di suicidio, così come si sono riscontrati danni neurologici. Proprio per questo farmaco, nel 1990 la C.C.H.R segnalò che negli ultimi due anni la Food adn Drugs Administration aveva ricevuto più del doppio delle querele riguardanti i grandi effetti collaterali provocati dal suo uso, rispetto a quelle ricevute negli ultimi 20 anni per l'Elavil, un altro popolare antidepressivo. In alcuni pazienti può inoltre creare violenza ed aggressività se somministrato in dosi troppo sbilanciate. (...)
Il Prozac viene assunto come espediente di "psicofarmacologia estetica" ovvero come sostanza chimica che modifica la personalità di chi lo usa. Non si conoscono i motivi per cui questo farmaco può ottenere simili risultati, però ciò che conta è che sia percepito e somministrato come qualcosa di rivoluzionario. D'altra parte però non è ancora dimostrato che i suoi risultati possano essere ottenuti dall'effetto placebo, o dal supporto psicologico anche non intenzionale o dichiarato, di chi lo prescrive. (...)
Secondi i sostenitori del Prozac possiamo diventare persone più disinibite con i partners, più dedite al lavoro e con maggior successo, più aperte alle relazioni sociali, meno esposte alle critiche, ai rifiuti, alle disavventure della vita.
Si tratta cioè di diventare "un'altra persona", come dicono di se stesse molti e molte pazienti che hanno usato Prozac e che non vogliono più tornare "come prima".
Il problema dunque non è tanto quello che il Prozac può far star meglio le persone che soffrono di disturbi depressivi o ansiogeni o comunque di incapacità a star bene con se stessi. il problema di fondo è l'uso di una sostanza chimica per trasformare una persona in ciò che lei stessa o la società richiede che sia. Oggi che, nella nostra cultura, non possiamo permetterci la tristezza, il lutto, l'introversione, lavorare poco, essere poco efficienti, la chimica ci offre uno strumento per essere sempre su di giri, più allegri, più pimpanti e più attivi sul lavoro. Ecco dunque l'uomo o la donna su misura, a seconda delle esigenze del mercato, "la pillola del lunedì mattina", come è stata anche definita dai suoi sostenitori. (...)
Cassano potrebbe essere definito l'uomo che guida la crociata dello psicofarmaco in Italia, il massimo profeta del Prozac, come lo definì il giornalista Claudio Serra, nel giorno dei festeggiamenti del "Prozac Show".
Non c'è dibattito pubblico sulla depressione, non c'è corso di aggiornamento per operatori psichiatrici e terapeuti in cui non si senta chiedere notizie del fenomeno Cassano. Parliamone dunque, con la speranza di "agevolare" un pò di chiarezza anche a questo proposito.
Giovanni B. Cassano è uno psichiatra che da molti anni si occupa di depressione e da sempre crede nella sua origine biochimica.
E' il cervello il laboratorio in cui le passioni umane, l'umore, il temperamento vengono sintetizzate, sostiene.
Le cause scatenanti di tipo psicologico e sociale, gli stress e le oppressioni della vita quotidiana, i rapporti interpersonali problematici e conflittuali, i sentimenti e le emozioni tipiche delle depressioni, che hanno impegnato e che impegnano tanti ricercatori e ricercatrici, sono soltanto dei corollari poco influenti, per lui. Per i profeti del riduzionismo biologico ciò che conta è il cervello come organo, con la sua quantità - più o meno disfunzionale per le depressioni, l'ansia ed altri malesseri - di serotonina e di noradrenalina. Sostanze sulle quali agisce il Prozac per ottenere il miracolo: non solo la cura della malattia, ma la trasformazione della personalità. Il che da sempre suscita un grande fascino sugli psichiatri! (...)
Con l'avvento del Prozac, che gli Usa hanno voluto, investendo ingenti capitali e mobilitando al massimo la ricerca, si è riaperta l'era della biochimica. Due plotoni si affrontano ora l'un contro l'altro armati: da una parte la chimica, sempre più di moda, sempre più seduttiva; dall'altra la psicoanalisi, caduta un pò in disgrazia, ma con il fascino di sempre. Tralasciando così le innumerevoli ed efficaci psicoterapie!
Su questo sfondo di netta contrapposizione, Cassano si presenta come il principale sostenitore della cultura del Prozac in Italia, mostrandosi realmente convinto della bontà dei prodotti che propone e dei risultati con essi ottenuti. Ma abbiamo visto che la personalità e il carisma del terapeuta sono tutt'altro che secondari; mentre non è secondaria affatto la super sponsorizzazione delle case farmaceutiche. Non va infatti trascurato il giro d'affari che sta dietro gli antidepressivi...
Infine, la notorietà dei suoi pazienti depressi, ma soprattutto depresse, personaggi dello spettacolo più o meno noti, ha prodotto, tramite i diversi media, l'effetto risonanza voluto. Ma la questione che si pone è più sostanziale. Dunque anche i ricchi, anzi le ricche, belle e famose piangono? E se sì, perchè scelgono di farlo pubblicamente e così platealmente aggrappandosi alla cultura del farmaco? Per le persone dello spettacolo , o comunque con una immagine pubblica, può essere soggettivamente molto più difficile ammettere di essere depresse per qualcosa che non va nella propria vita, nel cuore, nei sentimenti e nelle emozioni. Nel mondo dell'immagine, non è ben tollerata la problematica esistenziale, quando suggerisce l'immagine di "non vincente". Al contrario, poter ammettere di soffrire di una disfunzione del cervello, inteso come organo, solleva dal senso di colpa e dal senso di inadeguatezza che può accompagnare chi appunto si sente dire anche dai medici (a torto) "Lei è bella, ha un mucchio di soldi, un ottimo marito, splendidi figli, non ha motivo di essere depressa. Su con la vita! Si faccia un viaggio alle Maldive", come hanno testimoniato molte di queste signore.
E la nostra società, che pensa sempre a tutto (dalla culla alla bara, ma in particolare al profitto), ecco che ci ha procurato il Prozac. A questo punto non è nemmeno così importante sapere che parte dello star bene è probabilmente attribuibile all'effetto placebo.
CIò che propongo in alternativa è cogliere il lato positivo della depressione, viverla come segnale del corpo e della mente, approfittarne per rinchiuderci un momento su noi stessi, attribuendo valore anche alla tristezza, alla malinconia e alla solitudine. Ecco forse il modo migliore per arginare i sensi di colpa e il senso di inadeguatezza: sentirsi liberati dal dover essere e vivere la sofferenza come occasione per crescere emotivamente. Può essere questa l'occasione per conoscersi meglio e liberarsi da tutte le paure grandi e piccole che ci divorano, dall'ansia quotidiana e dallo stress, rinnovandoci internamente e di conseguenza anche esternamente perchè, è noto, la serenità interiore fa belle, meglio di un lifting!
Ma la polemica purtroppo infuria. La speranza è che non ci debbano essere nè vincitori nè vinti, ma che ognuno possa essere libero di scegliere per se stesso "l'ascolto" del farmaco o "il sentire" dell'autoconoscenza. O ancora meglio, di poter conciliare le due soluzioni.
Da "Come trasformare la depressione in risorsa" - Paola Leonardi