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martedì 16 novembre 2010

Il flusso della motivazione

motivazione
Uno stato chiamato "flusso", spinge le persone a svolgere il proprio lavoro al meglio - non importa quale esso sia: il flusso sboccia quando le nostre capacità sono impegnate appieno - ad esempio da un progetto di lavoro che ci coinvolge in modo nuovo e stimolante. La sfida ci assorbe a tal punto che ci perdiamo nel nostro lavoro, sprofondando in una concentrazione così totale da sentirci "fuori dal tempo". Quando siamo in stato di flusso - un piacere di per se stesso - sembriamo gestire ogni cosa senza sforzo, adattandoci prontamente alle mutevoli esigenze della situazione.
Il flusso è il fattore motivante per eccellenza. Le attività che amiamo ci attirano perchè, mentre ci dedichiamo a esse, entriamo in questo stato particolare. Naturalmente, persone diverse traggono questo tipo di piacere da cose pure diverse: un meccanico potrebbe amare la sfida rappresentata da una saldatura difficile, proprio come un chirurgo si lascerà assorbire con soddisfazione da un'operazione complessa, o un arredatore si delizierà nel gioco creativo di motivi e colori. Quando lavoriamo in uno stato di flusso, la motivazione è intrinseca - il lavoro è un piacere di per se stesso.
Il flusso offre una radicale alternativa alle idee ampiamente diffuse sui fattori che motivano chi lavora. Questo non significa affermare che gli incentivi non contino; (...) Ma i fattori motivanti più potenti sono quelli intrinseci, non quelli estrinseci.
Ecco un esempio: alcune persone tennero un diario nel quale descrissero come si sentivano mentre eseguivano una serie di compiti nell'arco della giornata. Emerse chiaramente che si sentivano meglio quando facevano il lavoro che prediligevano piuttosto che quello a cui si dedicavano solo perchè ne avrebbero ricavato una ricompensa. Quando facevano qualcosa per il semplice piacere di farla, il loro stato d'animo era ottimista, al tempo stesso felice e interessato. Quando facevano qualcosa solo per la paga erano invece annoiati, privi di interesse, anche leggermente irritati (e infelici se i compiti erano di natura stressante e faticosa). Ci si sente meglio a fare quello per cui si ha una vera passione, anche se altre attività sono più remunerative.
Quando tutto è finito e il lavoro è stato portato a termine, quali sono le fonti ultime di soddisfazione? Questa domanda fu posta a un gruppo di più di 700 uomini di età compresa fra i 60 e 70 anni, la maggior parte dei quali, professionisti o alti dirigenti, si stava avvicinando alla fine di una carriera di successo. La cosa più gratificante era la sfida creativa e lo stimolo rappresentato dal lavoro in se stesso, insieme alla possibilità di continuare a imparare. Le altre fonti di gratificazione erano l'orgoglio nel portare a termine le cose, le amicizie sul lavoro, l'opportunità di aiutare gli altri o di insegnare loro qualcosa. Molto indietro, nella lista delle gratificazioni, veniva lo status, e ancora più indietro, la ricompensa economica.
Quando si tratta di ottenere prestazioni ottimali in assoluto, i tradizionali incentivi esterni sono inutili: per raggiungere il massimo, la gente deve amare quello che fa e deve trarre piacere dal farlo.
Motivazione ed emozione hanno in comune la stessa radice latina movere, "muovere". Le emozioni sono, letteralmente, ciò che ci spinge a perseguire i nostri obiettivi; esse alimentano le motivazioni, le quali a loro volta guidano la percezione e danno forma alle azioni. Opere grandi, dunque, prendono le mosse da grandi emozioni.

Spesso, quando si trovano in stato di flusso, le persone fanno sembrare facile ciò che in realtà è difficile, un'apparenza esteriore che rispecchia ciò che sta accadendo nel loro cervello. Il flusso rappresenta un paradosso neurale: possiamo essere assorbiti in qualcosa di straordinariamente impegnativo, e tuttavia il nostro cervello opera a un livello di attività, o di dispendio energetico, minimi. La ragione sembra essere questa: quando siamo annoiati o apatici, oppure agitati dall'ansia, l'attività del cervello è diffusa; esso si trova in uno stato caratterizzato da un elevato livello di attività scarsamente o per nulla concentrata, con in neuroni che scaricano in modo diffuso e irrilevante ai fini del compito in corso. Nello stato di flusso, invece, il cervello appare di gran lunga più efficiente e preciso nelle sue modalità di scarica. Il risultato è un complessivo abbassamento dello stato di risveglio corticale - anche se la persona è probabilmente impegnata in compiti estremamente difficili.
(...)
Quando le persone sono emotivamente presenti nel posto di lavoro, sono attente, completamente coinvolte - e quindi la loro prestazione è ottimale. Gli altri le percepiscono accessibili e interessate. Esse danno un importante contributo di idee creative, energie e intuizioni.
L'opposto, ossia un'assenza psicologica, è qualcosa di fin troppo familiare: lo vediamo nelle persone che vivono la propria routine lavorativa in modo meccanico, evidentemente annoiate o comunque desintonizzate. In un certo senso, è come se non si presentassero affatto sul posto di lavoro. (...)
Per essere presenti occorre "non essere incapacitati dall'ansia, e avere un atteggiamento di apertura, non di chiusura, nei confronti degli altri", afferma lo psicologo William A. Kahn. Questa presenza ha in comune con il flusso un attributo-chiave: una totale attenzione per il compito in corso, una completa immersione in esso. Come per lo stato di flusso, i nemici della presenza sono l'apatia e l'ansia, due afflizioni simili. (...)
Quando siamo pienamente presenti, riusciamo a sintonizzarci meglio sugli altri e sulle esigenze della situazione, e ci adattiamo facilmente alle necessità - in altre parole, siamo in uno stato di flusso. Sappiamo essere seri, divertenti, riflettere su di noi stessi, facendo ricorso a qualsiasi capacità o abilità occorra in quel momento.
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Il flusso è il propellente naturale del miglioramento del sè, e per due ragioni: intanto, gli individui imparano meglio quando sono pienamente coinvolti in ciò che stanno facendo; e poi, quanto più ci si esercita a fare qualcosa, tanto più bravi si diventa. Il risultato è una continua motivazione a dominare imprese sempre più difficili - un continuo godere dello stato di flusso.
Quando invece, in un lavoro, il flusso manca, anche il successo può portare con sè uno strano malessere: ciò che una volta era eccitante può diventare noioso. Quando si arriva a padroneggiare un'attività, il rischio di cadere nella stasi aumenta bruscamente. Questo probabilmente spiega come mai la mezza età è un momento notoriamente maturo per i cambiamenti di carriera.
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Il flusso ha luogo in quella zona di mezzo, collocata fra la noia e l'ansia paralizzante. Un clima moderatamente ansioso, un senso di urgenza, serve a mobilitarci. Se il senso d'urgenza è troppo scarso, diventiamo apatici: se è eccessivo, ci sentiamo sopraffatti.
L'eustress, o stress "positivo", si riferisce al tipo di pressione che mobilita l'azione. La neurochimica di questa condizione è interessante. Quando siamo positivamente impegnati in un'impresa, il nostro cervello è immerso in un bagno di catecolamine e altre sostanze chimiche la cui secrezione è innescata dal sistema adrenergico. Queste sostanze stimolano il cervello a restare attento e interessato - addirittura affascinato - dotandolo dell'energia necessaria per sostenere uno sforzo prolungato. La motivazione intensa è, letteralmente, "un'ondata di adrenalina".
Uno studio tedesco ha dimostrato abbastanza chiaramente questa relazione fra motivazione e chimica cerebrale dell'eustress. Alcuni volontari si videro assegnare un difficile compito mentale, 120 problemi di aritmetica da risolvere in un arco di tempo sempre più breve, fino a che ne sbagliavano uno su quattro. Ogni qualvolta si sentivano fiduciosi della correttezza delle loro risposte, esse venivano controllate; se erano giuste, i volontari ricevano una ricompensa in denaro, se erano sbagliate venivano penalizzati dalla stessa somma.
I volontari che più degli altri speravano nel successo - un'espressione del bisogno di realizzarsi - erano i più efficienti nel mantenersi nella zona di mobilitazione, caratterizzata prevalentemente dalla produzione di catecolamine, senza sconfinare in quella di emergenza, dove prende il sopravvento il cortisolo. Ma i soggetti che erano motivati dalla paura di non riuscire annegavano nel cortisolo.
Questo effetto si dimostrò autorinforzante. Durante lo svolgimento dei problemi di matematica, gli individui con i livelli di cortisolo più bassi riuscivano meglio degli altri a pensare e a prestare attenzione. La loro frequenza cardiaca dimostrava che non erano più ansiosi durante l'esecuzione del compito rispetto a quanto lo fossero prima - rimanevano attenti, calmi e produttivi. L'effetto sulla loro prestazione fu impressionante: rispetto agli altri, vinsero più del doppio.

Da "Lavorare con intelligenza emotiva" - Daniel Goleman (Disponibile qui)