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mercoledì 25 agosto 2010

Depressione, cervello e guarigione


Il riconoscimento che la depressione potrebbe essere una conseguenza di una crescita insufficiente dei neuroni segna un'inversione di 180 gradi nelle ricerche sull'infelicità. Finora si era infatti dato per scontato che una disposizione pessimistica fosse da ricondurre esclusivamente ad un disordine chimico, ossia al livello troppo basso di determinate sostanze nel cervello. Come prova si potevano citare i successi ottenuti nella terapia. Da quasi mezzo secolo i medici prescrivono ai pazienti depressi farmaci che innalzano nel cervello il livello dei neurotrasmettitori serotonina e noradrenalina, sostanze chimiche affini alla dopammina. Persino nelle depressioni gravi tali farmaci sono d'aiuto a più del 60 per cento dei malati, e il successo è ancora più elevato quando si combinano i farmaci con una psicoterapia appropriata.
Il medicamento probabilmente più noto è da tempo il Prozac, la cui sostanza attiva è la fluossetina, che però negli ultimi tempi viene sostituito sempre più da successori ancora più efficaci, appartenenti alla classe dei cosiddetti inibitori della ricaptazione della serotonina. Era dunque ovvia la conclusione che dovesse avere qualcosa a che fare con l'origine delle depressioni una carenza di serotonina e di noradrenalina.

Molto presto risultò però che questa non poteva essere tutta la verità. Se infatti si fa calare artificialmente nel cervello di soggetti sani il livello della serotonina, essi non diventano assolutamente depressi. La depressione non può essere dunque solo, diversamente da com'era stato spesso sostenuto, una malattia da carenza di serotonina. E un farmaco come il Prozac, che era stato spesso esaltato nei mezzi di comunicazione di massa come la pillola della felicità destinata a rendere tutti gioiosi, quasi un paio di occhiali rosa per far vedere bello il mondo, non ha praticamente alcun effetto sulle persone equilibrate: solleva il morale solo ai depressi. Il Prozac e farmaci simili non producono effetti degni di nota sulle persone sane: non sono pillole della felicità ma solo pillole contro l'infelicità. Queste medicine possono portar via i cattivi pensieri, ma non portarne di buoni. (...)

In soggetti che non soffrono di stress, i farmaci non hanno alcun effetto, nello stesso modo in cui l'Aspirina non migliora la buona salute di una persona, se non ha dolori nè febbre.
E perchè gli antidepressivi hanno un effetto così lento nei depressi? La quantità di neurostrasmettitori presenti nel cervello varia non appena i farmaci passano nel sangue, ossia già dopo poche ore. Tuttavia devono passare da due a quattro settimane prima che i pazienti riferiscano di avere una disposizione di spirito migliore. E' chiaro che Prozac & C. operano percorrendo una via che richiede un certo tempo.
Può darsi che questi farmaci risveglino il cervello dal suo letargo invernale. Quando liberiamo più serotonina e noradrenalina, le cellule grigie cominciano a ricrescere. I neurotrasmettitori conseguono questo risultato presumibilmente per due vie diverse. Da un lato, in presenza di una quantità minore di ormoni dello stress, si rimette in moto anche la crescita delle cellule grigie. Dall'altro, serotonina e noradrenalina influiscono anche sui neuroni stessi, attivando indirettamente nel nucleo delle cellule determinati geni. Questi attivano la produzione di fattori di crescita nervosa, il fertilizzante naturale per il cervello. E non appena tornano a germogliare le cellule grigie, svaniscono i sintomi della depressione: il cervello già ibernato si risveglia alla vita.

Quando il cervello è troppo poco attivo ci sentiamo depressi. Questo è il motivo per cui non ci aiuta molto la reazione abituale contro l'infelicità: chi si ritrae in se stesso non fa altro che rendere le cose ancora peggiori. Il cervello perde infatti innanzitutto ogni stimolo a ridiventare attivo, e la noia, la paralisi dei sentimenti e della ragione si diffondono sempre più. Non far nulla non è una ricetta contro una cattiva disposizione di spirito.
Nella depressione grave, spesso solo i farmaci possono liberare il cervello dalla sua inerzia. Nelle situazioni molto più frequenti di infelicità quotidiana si può reagire molto bene con una doppia strategia: da un lato vale la pena di stimolare col proprio comportamento il cervello a riprendere gradualmente la sua attività, e dall'altro di guirare i propri pensieri e sentimenti in modo tale che la disposizione d'animo depressa non possa consolidarsi.
La depressione può essere la conseguenza di uno stress acuto. La perdita di un congiunto, un rovescio di fortuna, difficoltà eccessive in famiglia o nel lavoro, ma anche un cambiamento brusco di ambiente, come all'inizio di una vacanza, possono comportare uno stress tale da richiedere all'organismo di ritirarsi in sè.
Questo bisogno si esprime in sentimenti di noia, di sofferenza, di stanchezza. Per un certo tempo può essere saggio cedere alle loro richieste ed evitare sforzi; quanto a lungo, dipende dal fattore che ha causato questa disposizione di spirito. (...)

Spesso, però, la depressione ha già assunto una propria autonomia. Basta creare un'occasione ed è pronta a tornare; ora la disperazione si alimenta anche da sè. Nulla più va bene. Sarebbe tuttavia del tutto folle fornire altro aiuto per mezzo della passività al ciclo diabolico di tedio e indolenza. Un buon paragone col cervello del depresso è quello di una gamba che è rimasta a lungo ingessata. Chi ha fatto una volta quest'esperienza sa quanto i muscoli si indeboliscano in conseguenza del riposo forzato, quanto siano incerti e faticosi i primi passi e quanto poco si abbia voglia di farli. E tuttavia bisogna farli, anche se non c'è nulla che inciti a camminare. Esattamente nello stesso modo, dopo un periodo di depressione, dobbiamo riabituare il cervello a diventare attivo.

Qualsiasi attività è d'aiuto contro la depressione. Si riprendono in mano le briglie della vita. Quando si fa qualcosa, il cervello viene impegnato e ha meno opportunità di abbandonarsi a pensieri foschi.(...)
Ancora migliore, per conseguire una disposizione di spirito positiva, è un'attività che aiuti a conseguire dei successi. E' dunque importante, in fasi di depressione, porsi degli obiettivi, ma evitare richieste eccessive. Poichè in queste occasioni il cervello non può essere attivo come in passato, la sua efficienza è infatti ridotta.
In tali periodi è dunque opportuno affrontare compiti più facili (...)
Che i risultati positivi ottenuti proprio in tempo di infelicità siano così importanti lo si può spiegare, secondo il punto di vista del neuropsicologo Richard Davidson, con la funzione delle due metà della corteccia cerebrale. Nella depressione, la metà sinistra della corteccia cerebrale, che da un lato ci fa tendere a degli obiettivi e dall'altro controlla le emozioni negative, non è abbastanza attiva. Se però ci proponiamo di raggiungere un piccolo obiettivo, rimettiamo in moto questa parte del cervello che è così importante per la disposizione di spirito. E quando il progetto si è tradotto in realtà, i neuroni nella corteccia frontale danno un segnale e attivano un sentimento di successo, che si dovrebbe assaporare con una disposizione d'animo rilassata.

Da "La formula della felicità" - Stefan Klein (Disponibile qui)