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domenica 26 settembre 2010

Affrontare la paura


Come mai il genere thriller e horror ha molto successo? "La paura ritualizzata, nel cinema o nei libri, è in genere la classica forma per rielaborare e rimuovere le paure più profonde", spiega il professor Massimo Squillacciotti, "perchè spettacolarizzare e raccontare la paura aiuta a frequentare l'ignoto, a conoscerlo e quindi a esorcizzarlo".

"La paura è un'emozione primaria", spiega la professoressa Anna O. Ferraris, autrice del libro Psicologia della Paura, "ed è presente negli individui fin da quando vengono alla luce". Anche se questo non significa che nasciamo impauriti: "Semplicemente nasciamo suscettibili a impaurirci, a causa sia di aspetti esterni, e quindi reali, sia di fantasie che albergano al nostro interno", precisa lo psicoanalista Romano Biancoli. Una "suscettibilità" dalla funzione ben precisa: garantirti la sopravvivenza. "All'inizio è una funzione senza dubbio positiva", riprende Ferraris, "perchè consente di rispondere in tempi molto rapidi alle situazioni di pericolo attivando i meccanisimi della fuga, dell'immobilizzazione o dell'attacco".
Insomma, una paura "sana, indispensabile per non cadere vittima dei pericoli. Rosellina Balbi lo conferma parlando delle paure ancestrali, come quella del buio o del fuoco: se da piccolo non le avessi provate, il rischio di ferirti o ustionarti sarebbe stato troppo alto per garantirti la sopravvivenza. E non è un caso se i registi di film horror le hanno frequentate da sempre pur di scatenare la tipica escalation: vulnerabilità - pericolo - paura - ansia - angoscia - panico - terrore! Una sequenza in cui cresce l'insicurezza e diminuisce il controllo razionale.

Se le guardi bene in faccia, queste paure sono tutte figlie di un'unica, grande paura esistenziale: quella dell'ignoto. "Queste paure, che sono normali e legate all'età, con lo sviluppo delle capacità fisiche e intellettive si modificano", spiega ancora la professoressa Ferraris. "Basti pensare che i bambini, quando nascono, non hanno paura dei fantasmi o dei ladri, perchè non hanno ancora l'immaginazione per poterseli rappresentare. Atre invece sono le paure che insorgono perchè indotte dall'ambiente, dall'esperienza o dai modelli di comportamento che vediamo attorno a noi". Un esempio di paura indotta? Quella della penuria d'acqua: "Quasi un italiano su tre ha paura di rimanere all'asciutto", afferma Valeria Arzeton, che ha condotto un sondaggio sulle paure degli italiani. Un timore, quello dell'esaurimento delle scorte idriche, che non ha però riscontro nei comportamenti sociali, visto che secondo un rapporto Ocse, siamo la prima nazione in Europa e la terza nel mondo per consumo d'acqua... Del resto, le paure del mondo moderno sono quelle che, amplificate dai media, catturano la nostra attenzione a ondate e allarmano gran parte della popolazione del mondo occidentale... Tanto che anche un "duro" come Bruce Springsteen ha affermato: "La sicurezza dei miei tre figli è ormai la mia prima e principale preoccupazione". (...)
"Le immagini delle Twin Towers di New York che crollano hanno fatto venire meno il centro del nostro mondo", spiega il prof. Roberto Escobar. "Quelle immagini sono il fondamento della nostra paura e sono state usate in due modi complementari: prima per farci intuire che non siamo sicuri, poi per convincerci che dobbiamo difenderci." (...)
E' lo stadio della paura della paura, "che può essere più dannosa della paura stessa, osserva la prof.ssa Ferraris.

Adesso basta
"Ma la paura deve essere superata e dare luogo al coraggio", continua la psicologa. "E il coraggio si sviluppa con l'esperienza: lo si prova quando si sa cosa fare di fronte alle minacce." Come ha dimostrato Marco Tartaglia, il surfista e bagnino romano che il 26 dicembre del 2004, mentre si trovava nell'isola di Hikkaduwa, ha avuto il sangue freddo di guardare in faccia lo tsunami e affrontarlo con la sua tavola: "Ho visto la prima onda che si mangiava 200 metri di litorale in tre secondi e ho capito che c'era qualcosa di strano. Quando poi ho visto le altre onde in arrivo, ho spinto tutto il gruppo verso il largo, compresa la mia ragazza incinta di sei mesi". Come ha fatto ad avere questa prontezza di riflessi? Tartaglia ha passato quasi otto anni alle Hawaii, dove se vuoi fare surf, devi imparare le tecniche per affrontare le onde oceaniche: "La paura, infatti, l'ho avvertita solo quando ho visto l'acqua che si era riversata nell'entroterra, tornare nel bacino trasportando tutto quanto aveva travolto". Tra coraggio e incoscienza c'è la stessa differenza che passa tra razionalizzare l'imprevisto ed esporsi deliberatamente a un pericolo, "che altro non è se non un tentativo di negare la paura, e non di superarla con il coraggio", puntualizza ancora il dottor Biancoli.

Guardala negli occhi
La soluzione per vincere le tue paure, più o meno fondate? "Guardarle negli occhi per razionalizzare l'imprevedibilità che si nasconde in ogni cosa che non conosci", risponde sempre Biancoli. Paura e panico sono associati a determinati stimoli, quindi si tratta di modificare la tua reazione. Che, nel caso specifico degli attacchi di panico, di recente è stata addirittura "fotografata" tramite la risonanza magnetica funzionale dai ricercatori dell'Università di Pavia diretti dal dottor Stefano Bastianello. "Il cervello si abitua a "colorarsi" ogni volta nello stesso modo quando ci si presenta davanti l'oggetto delle nostre paure", dice la psicoterapeuta Pietra Romano, esperta di disturbi dell'ansia. "Dobbiamo allora comunicare altro al cervello. Se provo paura, devo comunicare una non-reazione di paura, un "colore" neutro". Per ottenere questo risultato, la tecnica da seguire è quella di affrontare le paure con gradualità: "Se ho paura dei ragni, posso iniziare a guardare delle figure di ragni su un libro, anche per pochi secondi. Dopo aver aperto il libro sempre più a lungo e dopo altri passaggi, potrò entrare in prato senza la paura dei ragni."

L'unione fa la forza
Se da solo pensi però di non riuscire a farcela, la soluzione sta nel gruppo, potendo scegliere tra quelli condotti da uno psicoterapeuta e quelli invece "autogestiti". "Il primo tipo di approccio funziona", ci conferma Pietra Romano. "Non è possibile stabilire se la terapia di gruppo sia altrettanto o più efficace di quella individuale, ma i risultati ci sono". Oltre a farti risparmiare sul costo delle sedute, il gruppo ha poi altre utili peculiarità: la condivisione (parli con altri che soffrono del tuo stesso problema), la normalizzazione (non sei l'unico al mondo) e la collaborazione (si avvia un processo di aiuto reciproco per uscirne insieme). (...)
E i gruppi di auto-aiuto, invece, quelli in cui non è presente la figura del terapeuta? In questo caso gli incontri si svolgono tra "pari", con il solo contributo di un helper. Nel nostro Pese il fenomeno ha ormai un'ampia diffusione, come conferma Patrizia Arizza, consigliera regionale nel Lazio dell'associazione onlus Lidap (Lega Italiana contro i Disturbi d'ansia, Agorofobia e attacchi di Panico, www.lidap.it): "E' sicuramente buona la percentuale di persone che traggono giovamento dai gruppo di auto-aiuto". La dimostrazione? "Molti di coloro che hanno partecipato a queste esperienze, diventano a loro volta volontari, aiutando così le dinamiche di aiuto". Che ruotano intorno al riflettere su se stessi assieme agli altri per rompere i propri schemi mentali e ricostruire nuovi equilibri, basati su fondamenta più solide, quindi vincenti. Uno scambio di esperienze e considerazioni che molto spesso ti regala quello che cerchi: il coraggio.

C. Gervasoni & M. Monari da "Men's Health n°54"