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martedì 19 ottobre 2010

Il rapporto mente-corpo

mente corpo
Chi ha una certa sensibilità, dà per scontato che non esista realmente una separazione tra il corpo e il pensiero; tuttavia la visione cartesiana che voleva la nostra fisicità controllata dalla mente come un burattino, semplice rappresentazione di una scena decisa altrove, ha fondato per lungo tempo la nostra cultura. Un esempio che vale per tutti è quello rappresentato dalla medicina.
E' questa la formazione che hanno le persone a cui ci rivolgiamo normalmente per farci curare: una visione "meccanicistica", che produce un concetto dell'uomo nel quale domina incontrastato il presupposto che ci siano una mente e un corpo-macchina nettamente separato da essa, fatto della somma di tanti organi passibili di essere fusi, smontati, analizzati, ricollegati e rimessi in movimento.

Questa medicina ha prodotto terapie super-specialistiche, nelle quali ogni disciplina si occupa di un particolare infinitesimale rispetto alla nostra complessità corporea. Certo ha anche dato risultati straordinari, per esempio in ambito chirurgico: quando siamo anestetizzati siamo quasi delle macchine ed effettivamente si può prendere una valvola cardiaca e sostituirla con un ricambio nuovo di zecca. Inoltre è a questa medicina che dobbiamo - nel bene o nel male - farmaci potentissimi come gli antibiotici.
D'altra parte, come risulta anche da studi medici dell'ultimo ventennio, in virtù di questa impostazione e degli interessi soggiacenti all'"industria della salute", non ci si preoccupa delle ragioni profonde del malessere che porta il paziente a rivolgersi al proprio medico, bensì ci si limita soltanto a controllarne la sintomatologia.
Circa il 70% delle persone che si recano dal medico di base non riceve una diagnosi causale, ma semplicemente una terapia volta a limitare gli effetti sgradevoli del malanno, senza contare che tutta la nostra cultura medica, anche quando non si ferma alla cura del sintomo, tende a trovare nel corpo le cause prossime del malessere, senza prendere in considerazione nè la causalità ambientale, nè quella psicologica.
Esiste peraltro un approccio recente che promette molto. La disciplina che più di tutte ha aperto una breccia in questa visione uomo-macchina è la PNEI, cioè la PiscoNeuroEndocrino-Immunologia; si tratta di una scienza che studia le relazioni tra sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario e comportamento, a cui si deve il merito, per esempio di aver messo in luce come i linfociti, aventi funzione difensiva dalle aggressioni esterne e dalla produzione di tumori, comunicano con il cervello e con il sistema nervoso.

Si è rilevato che al variare degli stati di coscienza, come per esempio negli stati di meditazione o nelle forti situazioni di stress, si producono mutazioni misurabili a livello dei linfociti, del sistema endocrino e di quello gastrointestinale, confermando quanto sostenuto da tempo dalle diverse correnti psicoanalitiche: la nostra psiche e la sua capacità di vivere in maniera sana vanno direttamente a influire sullo stato di salute del nostro corpo, al punto che non di rado i malanni fisici possono essere interpretati come somatizzazioni di disturbi emotivi, caratteriali o emozionali.
D'altra parte, sono moltissimi i dati che dimostrano come un certo tipo di stato di coscienza cambi parametri quali la glicemia, l'endorfina, il numero di ricettori presenti su certi linfociti o la conduttanza elettrica della pelle. Emblematico in tal senso è l'innamoramento: stato emotivo caratterizzato dal verificarsi di una alterazione ormonale, constatabile dall'analisi chimica della composizione sanguigna.
Allo stesso modo, una certa postura fisica ci permette di accedere a certi stati di coscienza e ad altri no, così come discipline ormai comunissime quali lo yoga ci insegnano: i soggetti depressi hanno normalmente la colonna vertebrale ricurva in posizione cifotica, il capo chino e incassato sulle spalle, pupille rivolte in basso a sinistra. E' molto difficile essere depressi guardando in alto, aprendo il torace, saltellando qua e là.

La semplice posizione degli occhi, per esempio, è tutt'altro che differente rispetto allo stato di coscienza che viviamo: guardando in alto, si accede a informazioni "esterne" di tipo visivo; viceversa, per poter cogliere le sensazioni corporee, le pupille si spostano in basso a destra.
Detto questo, non dovrà più stupire l'affermazione secondo cui la danza, con i suoi specifici movimento corporei, sia da considerarsi una soglia verso dimensioni coscienziali alternative e, più in generale, che il corpo, a seconda degli stimoli a cui è sottoposto e dei movimenti che compie, condizioni notevolmente il "come" percepiamo il mondo.

Da "Gli stati alterati di coscienza" - T. Cervone & M. Turcato

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