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sabato 30 ottobre 2010

No alla depressione; Sì a se stessi

rinascita depressione
"La parola stessa depressione dice che il depresso è premuto, schiacciato, compresso, solitamente perchè una parte della libido psichica è giù in basso, sotto e deve essere recuperata, tirata su: la vera energia della vita è precipitata a un gradino della personalità più profondo e la si può raggiungere soltanto mediante la depressione".
Così scrive Marie L. Von Franz, famosa psicanalista junghiana, offrendoci un'interpretazione assai originale, e di cui far tesoro, del malessere collettivo degli anni duemila. L'autrice afferma che, quando è necessario, qualcosa ci chiama in profondità di noi stessi e che "solo" la depressione può farci immergere così in basso: deprimersi dunque sarebbe l'unico modo concreto per andare a riallacciare i collegamenti con l'energia vitale rintanatasi là sul fondo e altrimenti fuori della nostra portata. Un'alleata preziosa dunque, uno strumento indispensabile per raggiungere ciò che, nella vita di tutti i giorni, finiamo per perdere di vista e dimenticare. Perchè troppo spesso, per pigrizia o per quieto vivere, diciamo Sì a situazioni esistenziali che ci spengono. La depressione altro non è che un No forte a questi errori.

Molti autori hanno spiegato che in noi stessi esistono "due uomini", uno di superficie e l'altro profondo, "antico", di cui troppo spesso non abbiamo percezione, ma che è il vero e unico depositario dell'essenza della vita. Senza un canale di comunicazione diretto con questo arcaico "serbatoio energetico", la vita non sgorga più e l'esistenza si inaridisce sino a perdere di senso. E ad allontanarci dalla nostra "scintilla" originaria è la mentalità dell'Occidente che ha lasciato troppo spazio, scrive Giuliano Kremmerz, alla "superbia della ragione umana". In che modo? Ad esempio non sapendo più scegliere, dicendo Sì e No senza ascoltare l'interiorità.

In funzione di che cosa attuo delle scelte, su che base rispondo alle occasioni della vita? Senza una bussola interiore siamo in balia dei venti. Prima di dire i nostri Sì e i nostri No è opportuno orientarsi con qualcosa che ci parla dal profondo. Suggerisce ancora la Von Franz:"Ascoltiamo la nostra depressione, scendiamo sempre più in profondo, finchè non raggiungiamo il livello d'energia psichica e non troviamo qualche idea creativa. Improvvisamente, giù in fondo, può manifestarsi un impulso vitale e creativo che avevamo trascurato".
Perciò, a meno che ci si trovi di fronte a un caso davvero grave, la depressione va quasi "incoraggiata": occorre entrare nella depressione e viverla invece di cercare inutilmente di sfuggirla...

Gli psicofarmaci uccidono il nostro "guaritore interno".
L'uso massiccio e sconsiderato di psicofarmaci, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, risulta dannoso (tranne nei casi di depressione grave, detta "maggiore"). Come può un intervento esterno, artificiale, risvegliare la forza naturale sopita dentro di noi? Commetteremo lo stesso errore che ci ha portato alla depressione stessa: rinunciare all'ascolto della nostra voce interiore, mettendola ancora una volta a tacere. Tutto questo non può che portare alla cronicizzazione del disagio se non al suo aggravamento.

Sempre sull'attenti
Troppo pronti a dire di sì, ad abbassare la testa davanti all'interlocutore, addirittura a negare le proprie idee e i propri sentimenti per opportunismo o per evitare complicazioni. Un vero e proprio "addomesticamento dell'anima" che, giorno dopo giorno, assume contorni sempre più definiti e che coinvolge vari ambiti della vita degli italiani. Infatti, come conferma l'indagine, se è vero che questa attitudine a dire comunque di sì nasce nella maggior parte dei casi all'interno dell'ambiente lavorativo, è altrettanto vero che, con il passare del tempo, può avere riflessi anche nella sfera privata. Infatti, tra le persone a cui non diciamo mai No, non troviamo solamente la figura del capufficio ma anche figli, partner, genitori e persino gli amici più cari. Insomma, questa condizione di eccessiva disponibilità non solo può privarci dell'orgoglio e della dignità in ambito professionale, ma rischia di limitare le iniziative, condizionarne i pensieri e trasformare carattere e personalità.

Ma quali sono le cause? Non soltanto paura di apparire scortesi o maleducati, timore di essere giudicati e vergogna; gli italiani hanno costruito questa abitudine a dire Sì soprattutto per pigrizia e per assicurarsi una vita tranquilla senza scontri e discussioni di alcun tipo. Ma a lungo andare questa svogliatezza diventa prima abitudine, e poi incapacità. Un vero e proprio boomerang che rende le persone sempre più frustrate e false. E solo nel momento in cui si ritrova coraggio e determinazione è possibile assistere ad un risveglio della personalità accompagnato da un senso di liberazione, eccitazione e rilassatezza. Ma quali sono queste circostanze in cui gli italiani riescono a trovare la convinzione per dire No? Sono in genere casi limite in cui non esistono altre vie percorribili e ci si trova con le spalle al muro, situazioni in cui la disperazione ha raggiunto la vetta, ma anche per vendetta o per rivalsa. Le soluzioni per trovare la forza per dire No ed evitare un probabile crollo psicologico? Lasciarsi guidare dall'istinto mettendo da parte la componente razionale, credere maggiormente in se stessi, frequentare corsi specifici.

Guardarsi dentro un alla volta (di Maurizio Zani)
"Uno dei punti della mia morale - diceva Cartesio - è amare la vita".
Sì, la filosofia, pur senza impiegare il termine depressione, ha da sempre indagato sulle forme di oscuramento interiore. Perchè lo slancio vitale, in alcune circostanze, si spegne? Perchè ci avvertiamo estranei a noi stessi? Per quale motivo la nostra vita appare priva di senso? Perchè, insomma, ci sentiamo depressi? E ne ha colto, innanzitutto, la traccia: un'intima inquietudine. Originata da quella che Seneca definiva una perdita di se stessi, prodotta da un'eccessiva dipendenza da cose esteriori. La spia di un malessere generato dall'incapacità di concretizzare le più profonde potenzialità di realizzazione personale.Cosa fare? Montaigne suggerisce di trasformare la perdita di interesse per l'esistenza in una sfida. Naturalmente, da vincere. Ma non con inutili sforzi, tesi a contrastarla. Equivarrebbe a cacciare ancora più a fondo il dolore, così come accade con i pali che "si conficcano più profondamente e si consolidano agitandoli e scuotendoli". Questo significa non capire che la mente spesso tenta disperatamente di rimuovere il dolore attorcigliandosi in vari alibi.
La prova invece va affrontata in una condizione favorevole all'ascolto interiore. Anche se al momento fa soffrire. Ma solo così, poco alla volta - come ricorda Spinoza - la gioia del guardarsi dentro si farà strada.
Si ottiene un duplice vantaggio. La conquista di un nuovo potere su se stessi, ovvero un modo di vedere nelle cose che ci riguardano quanto effettivamente risponde alla nostra natura. E di conseguenza, la costruzione di una nuova immagine di sè, colta con gli occhi di un osservatore disincantato. Per approdare infine a quello stato di intimo benessere che, appunto, è in antitesi con la mancanza di scopo del vivere.

Da "Riza psicosomatica n°307"Libri di Riza disponibili qui