
Se il panico non esistesse...saremmo costretti a inventarlo! Infatti, il significato profondo di una crisi di panico è di attirare tutti i nostri disagi esistenziali come se fosse un grande parafulmine e dar loro voce, per evitare che si addensino e si trasformino in qualcosa di più grave, come una malattia fisica. Si, attraverso il panico, pur soffrendo, diamo sfogo a una grande carica di energia che giaceva dentro di noi. E in questo modo la mobilizziamo evitando che si somatizzi.
Questo succede perchè chi soffre di panico gioca "alle belle statuine" e vuol tenere tutto fermo, ingessato: un teatrino finto dove identità, emozioni, ruoli, rapporti, non scorrono fluidi e non si trasformano con l'andare della vita, ma hanno una fissità innaturale. Questi soggetti si rendono conto che tutto cambia e che sarebbe opportuno "cedere" e lasciarsi portare dal flusso degli eventi, ma resistono a questa evidenza e si trincerano dietro l'impossibilità assoluta di cambiare. E stanno male.
Insomma, chi soffre di crisi di panico è un amante della "calma piatta", vuole tenere tutto sotto controllo, è frenato dal forte senso di responsabilità e, come se non bastasse, ha spesso la mente infarcita e condizionata da moralismi e ideali. Si comprende a questo punto perchè mai questo disturbo si affacci in maniera imprevista e squassante: per smuovere la patologia palude in cui siamo andati a cacciarci serve "un'onda anomala" di pari proporzioni. Si tratta di una vera e propria ribellione contro l'esistenza che stiamo tenendo in scena a dispetto di tutto. Sì, il panico ci esorta a rivedere quelle scelte di vita e quei modi di essere che travolgono e soffocano i nostri desideri più intimi.
Secondo Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, il panico è uno stato d'animo che coglie l'individuo quando, venuti meno i legami affettivi con il gruppo sociale, comincia a pensare solo a se stesso; dovendo così affrontare i pericoli da solo, è portato a vederli più grandi di quanto siano realmente. Il filone bio-riduzionista afferma, invece, che l'attacco è conseguenza dell'attivazione improvvisa dei riflessi di soffocamento: chi ne soffre avrebbe una sensibilità maggiore, da parte del sistema centrale di allarme, nei confronti di tale sensazione, attivandola anche in situazioni non pericolose.
La definizione di attacchi di panico è sorta quando si è constatato che, in determinate occasioni, i comuni ansiolitici non avevano alcuna funzione curativa. L'organismo assorbe questi tipi di farmaci in 20/40 minuti, quando la crisi di panico è già avvenuta. Oggi si preferisce somministrare antidepressivi di nuova generazione (paroxetina, sertalina, venlafaxina...). A prescindere dai ben noti effetti collaterali di queste medicine, la loro efficacia diminuisce sensibilmente con il passare del tempo, se la terapia farmacologica non è accompagnata da altri tipo di intervento.
"Non credevo più in nulla, non mi importava niente se non il mio interesse personale, ero diventato cinico e superficiale. Poi, d'improvviso, è arrivato il panico e la mia vita è cambiata". A parlare in questo modo è una delle molte persone intervistate da Riza Psicosomatica (895 tra i 20 e i 63 anni d'età, 56% donne e 44% uomini) per l'indagine sul panico. E non si tratta di una voce isolata. Il quadro che emerge fornisce un'immagine molto particolare delle persone che si sono finalmente liberate dal panico: descrivono il loro vecchio personaggio legato a falsi valori e alle apparenze (37%), preoccupato solo di se stesso e della propria carriera (19%), scettico, diffidente e convinto che, alla fine, nella vita nulla abbia senso (16%). Un ruolo spesso recitato e autoimposto pur di cucirsi addosso un'immagine accettata dagli altri e in linea con la tendenza comune: ma le crisi di panico sono arrivate a smontare questa facciata. "Ero finito in un vicolo cieco - raccontano - ma qualcosa dentro di me si è ribellato contro tutto ciò che era effimero e senza senso".
Chi ce l'ha fatta ad uscire dal tunnel è cambiato radicalmente. In alcuni casi ha chiesto aiuto allo psicologo (26%), in altri ha avuto parenti ed amici che gli sono stati vicini (15%), ma una percentuale significativa di intervistati (36% uomini e 14% donne) racconta di aver superato il disagio dopo aver trovato un significato nuovo e più profondo alla propria esistenza. Alcuni hanno ricominciato a frequentare la chiesa e a pregare, altri si scoprono attratti da nuove religioni, in generale sentono crescere in loro il bisogno di credere in qualcuno o qualcosa. Avere una fede e ribaltare una vita divenuta vuota e priva di senso si è rivelato l'antidoto più efficace contro il ritorno delle crisi.
La riscoperta del sacro non è l'unica strada che può aiutare a ridar significato a esistenze rese fragili dagli attacchi di panico. Il bisogno di incontrare un senso più profondo della vita può realizzarsi anche attraverso nuovi "interessi umanitari". Il mondo del volontariato, come confermano molti intervistati (31% donne e 15% uomini), mette ad esempio in contatto con la sofferenza, il bisogno, la solitudine... e l'impegno sociale permette di rendersi utili in modo disinteressato e assai appagante. Ci si accorge così di tornare a credere nella vita.
Anche un nuovo amore può rivelarsi fondamentale, e infatti il 39% delle donne e il 17% degli uomini dichiara di essere "guarito" dagli attacchi dopo essere tornato a innamorarsi. Un fatto è certo: fare qualcosa che ci appassiona, che ci coinvolge, ci realizza... è una formula anti-panico di sicura efficacia.
Se pensiamo di aver realizzato tutto il positivo che sognavamo di realizzare nella nostra vita, stiamo purtroppo preparando il terreno all'insorgenza del panico. E' la sindrome della "calma piatta". Accade quando mi ostino a raffigurarmi in un personaggio che non appartiene alla mia natura profonda, quando insisto nel dire "io sono così e niente mi può cambiare". Quando mi sforzo di mantenere tutta la mia vita in questo stato di "calma piatta", io sto uccidendo la parte più vitale di me. E quella parte urla, si dibatte, si trasforma nell'apice della crisi di panico, descritta come "paura di morire".
Sarebbe sufficiente fare qualche semplice domanda a chi soffre di attacchi di panico per scoprire che, sebbene in apparenza egli sembri del tutto ignorare il perchè delle sue crisi, un motivo c'è... e sotto sotto anche lui lo intuisce.
"Da quanto tempo un'emozione esplosiva e fulminea non ti sconvolge più la vita". "A quando risale la tua ultima pazzia?". "Ti sei innamorato recentemente?". "Che cosa ti appassiona veramente?". Chi rischia il panico resta di solito piuttosto sorpreso di fronte a simili richieste; le sue risposte, dopo un'attenta riflessione, denunciano sempre un'eccessiva presa di distanza dalla sfera degli istinti e dell'affettività. "Cosa mi appassiona? Mmmm...Bella domanda! Bè, le solite cose: il lavoro, la palestra, le uscite con gli amici... Nulla in particolare... Non saprei...!"
Perdere la testa è qualcosa che non ha mai fatto, o forse un tempo è anche successo, ma adesso che ha imparato a controllarsi lo considera solo un "errore di gioventù". Ebbene: le forze cui ha scelto di sottoporre la sua spontaneità al fine di "educare" le proprie emozioni in base alle esigenze dell'ambiente esterno, costituiscono i peggiori nemici della nostra naturale capacità di lasciarci andare liberamente al fluire della vita.
Da "Riza psicosomatica n°260"
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