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sabato 4 giugno 2011

Neurochimica del passato: perchè cambiare è difficile


Ogni persona, luogo, cosa, tempo o evento costante della nostra vita ci definisce più stabilmente come personalità attraverso il suo continuo ripresentarsi. Noi creiamo dei collegamenti neurologici con ciascuno di questi elementi, col risultato che essi entrano a far parte dei nostri processi neurali e riaffermano chi siamo.
Per ogni elemento noto della nostra vita, possediamo una rappresentazione neurale già in loco sotto forma di persone, luoghi, cose, tempi ed eventi, e ogni rappresentazione neurale collega ogni persona, luogo, cosa, tempo ed evento a una specifica sensazione.
Cambiare una persona, un luogo, una cosa, un tempo o un evento nella nostra vita significa che stiamo spezzando il circuito neurochimico che abbiamo mantenuto intatto attraverso una stimolazione continua.
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Immaginate, che tipo di sforzo sarebbe necessario se vi chiedessi di porre fine a una relazione con qualcuno che infligge ripetutamente dei colpi alla vostra autostima e l'ha fatto per gli ultimi quindici anni. Se col tempo siamo diventati sempre più abituati a sentirci indegni, vogliamo continuare a sentirci così perchè siamo nell'abitudine neurochimica di essere indegni: è il modo abitudinario, familiare, naturale, facile in cui abbiamo pensato e ci siamo sentiti rispetto a noi stessi.
Questi pensieri sono basati sui ricordi che possediamo della nostra interazione con quella persona. A quei ricordi sono associate delle sensazioni, e quelle sensazioni hanno una base neurochimica.

Ancora più importante, se decidiamo di alterare le dinamiche della nostra relazione con una particolare persona che ci è stata vicina nella nostra vita, è verosimile che il cambiamento rappresentato dall'angoscia e della sofferenza non sia altro che la sensazione chimica della mancanza che ci deriva dall'aver smesso di attivare le stesse reti neurali sinaptiche.
La mancanza di stimoli ambientali (il fatto di non vedere, toccare, odorare, sentire e udire quella persona) non accenderà più le reti neurali associate con quella persona. Quest'arresto impedisce il rilascio di specifiche sostanze chimiche da parte del cervello che forniscono al corpo il materiale per creare una sensazione.
Indipendentemente dal fatto che una sensazione sia positiva o negativa, essa deriva dal rilascio di determinate sostanze chimiche. L'amore (o ciò che pensiamo sia amore), dunque, in realtà potrebbe essere soltanto una questione di chimica.

E così, che cosa accade quando decidiamo che ne abbiamo abbastanza e vogliamo smettere di pensare in un certo modo? Che cosa accade quando finalmente facciamo la scelta di smettere di pensare e provare vergogna, rabbia od odio per un solo giorno?
Questa decisione in realtà non è affatto diversa da quando decidiamo di metterci a dieta, di eliminare un particolare cibo o di tentare di interrompere un'abitudine come il fumo o il bere. Decidere di smettere di provare vergogna richiedere altrettanta intenzione e forza di volontà quanta ne serve per interrompere una qualunque di queste altre azioni.
Una volta che la nostra volontà è impegnata nel vincere i nostri pensieri, è come se svegliassimo il corpo dal suo sonno senza neanche concedergli la sua tazza mattutina di caffè - in questo caso, ad esempio, il suo "buco" di vergogna. Di conseguenza, il corpo inizia a esprimere il suo scontento nel cervello: "Che cosa vuol dire 'non riceverai le tue sostanze chimiche della vergogna'? Di chi è questa brillante idea?".
(...)
Quando ci troviamo in mezzo al cambiamento, ci tormenta e si lamenta con la voce più alta, dicendo cose come: "Puoi iniziare domani - Avanti, questa è una grande ragione per infrangere la promessa che ti sei fatto - Soltanto questa volta! - Questo non lo sento proprio giusto!".
Allora noi diciamo: "Devo fidarmi delle mie sensazioni perchè sono così in sintonia con esse", e naturalmente ci convinciamo con la ragione a ritornare al punto di partenza. La voce che stiamo ascoltando è il nostro corpo che ci dice di restaurare l'ordine interno e interrompere la sofferenza e il disagio che stava provando. (...)

Forse un giorno decidete intellettualmente di non essere più delle vittime. Iniziate la vostra giornata con grandi intenzioni, ma entro mezzogiorno, mentre state guidando per fare una commissione di lavoro, iniziate a pensare a come vostro marito ieri abbia ferito i vostri sentimenti. Poi pensate a tutte le altre volte, negli ultimi trent'anni, in cui egli vi ha ferite con le sue azioni inconsce. Adesso state iniziando a sentirvi male.
Vi sorprendete a farlo, ma una voce interiore inizia a dirvi di dimenticare quello che vi siete ripromesse, perchè "Non cambierai mai, non sei abbastanza forte, e inoltre tua madre ti maltrattava quando eri piccola, per questo sei così. Non puoi cambiare, quelle cicatrici sono semplicemente troppo profonde".
Che fare? Se rispondete a questi pensieri, siete destinati a un rilascio di una grande quantità di sostanze chimiche, che rinforzeranno chi siete sempre stati. Se interrompete i vostri pensieri automatici, vi sentirete molto a disagio per il fatto di non essere il vostro sè normale, che pensa come al solito. (...)

E' a questo punto che la nostra volontà e la nostra autodisciplina devono entrare in gioco. (...)
Quando le sensazioni del passato sono in costante competizione con la nostra idea di un nuovo futuro, il passato ha una presa più forte su di noi, poichè non possiamo confrontare il futuro con nessuna sensazione del passato. Il futuro non ha sensazioni perchè non ne abbiamo ancora fatto esperienza. (...)
Quando la nostra identità (che è fatta di ricordi passati) e l'anello a retroazione del corpo dominano, ci è facile decidere razionalmente di ritornare a ciò che ci è familiare, e pensiamo di stare facendo la scelta giusta perchè la "sentiamo" la scelta giusta da compiere in quel momento. E' così che resistiamo al cambiamento e continuiamo a riscegliere il familiare...

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